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La tensione nei Balcani, mai così alta da decenni

  • Immagine del redattore: Davide Saccani
    Davide Saccani
  • 15 mar
  • Tempo di lettura: 3 min

In queste settimane, la situazione politica e sociale nei Balcani, più specificamente in Serbia e in Bosnia ed Erzegovina, ha subito degli scossoni che minano la fragile stabilità raggiunta negli anni ‘90 alla fine delle guerre jugoslave. I fatti principali sono due:


Le proteste studentesche in Serbia:

Da mesi in Serbia ha luogo un imponente movimento di protesta, organizzato soprattutto dagli studenti, contro la corruzione e l’inerzia del governo. Tutto cominciò in Novembre quando la pensilina di una stazione nella cittadina di Novi Sad crollò, uccidendo 15 persone. L’evento, seppur di piccole dimensioni, scatenò una mobilitazione nazionale, soprattutto dei giovani, che dopo due mesi portò alle dimissioni del primo ministro Vučević. Il presidente serbo Vučić e il governo intero pensavano che questo passo indietro del primo ministro riportasse la calma, ma non bastò. Oggi infatti, le organizzazioni studentesche hanno organizzato quella che hanno definito ‘’la più grande manifestazione di protesta dei tempi moderni’’. 

Il presidente Vučić si ritrova in una situazione sempre più complicata, fin da subito ha sostenuto che le proteste in realtà siano state alimentate da ‘’potenze esterne’’ (intese Occidentali) e questo suo atteggiamento potrà minare il percorso della Serbia verso l’entrata nell’Unione Europea (paese candidato dal 2012) e causare un riavvicinamento verso la Russia di Putin, un paese da sempre considerato amico dal governo serbo.

Ciò che si deve notare è la ferrea determinazione dei giovani e dei comitati studenteschi a portare avanti il movimento di protesta da mesi ormai, fino a che non avverranno cambiamenti strutturali nel sistema che garantiscano una protezione dei diritti umani, della democrazia e del rispetto della legge.


La condanna di Dodik e la minaccia di secessione:

In Bosnia ed Erzegovina invece, la stabilità del fragile stato non è mai stata messa così a dura prova dalla fine degli anni ‘90. 

Lo stato è creato da due entità territoriali dotate di ampia autonomia, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (a maggioranza etnica bosgnacca e croata) e la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (a maggioranza etnica serba). Inoltre, per mantenere la stabilità raggiunta con gli Accordi di pace di Dayton del 1995, è presente un Alto Rappresentante proveniente dall’Unione Europea che deve controllare e consigliare le istituzioni democratiche dello Stato.

Il presidente della Repubblica Serba Milorad Dodik nei primi anni 2000, quando era primo ministro, aveva aiutato a consolidare lo stato di Bosnia ed Erzegovina attraverso la creazione di alcuni dei suoi organi più importanti, tra cui la Corte Costituzionale, e aveva collaborato con i vari Alti Rappresentanti che si sono susseguiti negli anni. Dal 2018 in poi però, da quando diventò presidente, ha cominciato a sostenere una sempre maggiore critica verso lo stato della Bosnia Erzegovina, minacciando la secessione della Repubblica Serba da essa.

Il mese scorso, nell’assemblea della Repubblica Serba, furono approvate delle leggi proposte da Dodik che vietavano in quel territorio l’intervento degli organi giudiziari e di sicurezza statali. Ovviamente queste leggi furono sospese dalla Corte Costituzionale che lo stesso Dodik aveva contribuito a creare, ed esso fu accusato di disobbedienza all’Alto Rappresentante e di sovversione dell’ordine costituzionale, che gli ha comportato una condanna ad 1 anno di carcere.

Dodik ha definito la condanna una ‘’persecuzione politica nei suoi confronti’’ e ha avuto il sostegno del presidente di Serbia Vučić e di quello russo Putin. 

Mercoledì 12 Marzo inoltre, è stato ufficialmente emesso il mandato di arresto per Dodik, che secondo Vučić potrebbe aprire la strada ad una nuova guerra civile.

La situazione è talmente tesa che pure il Segretario Generale della NATO, Mark Rutte, si è recato a Sarajevo (capitale della Bosnia ed Erzegovina) per ribadire che lo stato deve rimanere integro e unito.


La regione dei Balcani è sempre stata considerata una ‘’polveriera’’, fin dai tempi della Prima Guerra Mondiale, e la situazione di oggi, soprattutto quella bosniaca, fa capire come gli accordi di pace degli anni ‘90 non sono sufficienti a mantenere la pace tra i popoli della regione. 

Il rischio più grande è che anche in questa situazione delicata, Vladimir Putin e i suoi alleati colgano l’occasione per destabilizzare ed ottenere una posizione diplomatica più forte nei possibili negoziati che si stanno costruendo tra Stati Uniti, Ucraina e Russia, in cui qualsiasi vantaggio o svantaggio delle parti coinvolte sarà da tenere in assoluta considerazione.


 
 
 

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